quest'inverno avevo finalmente tirato fuori quel sacchetto strapieno di quadrati colorati che avevi fatto venti, trent'anni fa con gli avanzi di lana, mai diventati coperta perché, dicevi, non erano abbastanza e di lana bordò non ne avevi più. Dal di lì la mia idea di ingrandirli contornandoli a uno a uno con un altro giro di lana rossa recuperata da un giaccone.
Tutti i giorni ne facevo qualcuno. "Non li hai ancora finiti?" mi chiedevi sempre. "Quanti te ne mancano ancora?" come se avessi fretta... Poi finalmente a fine gennaio ce l'avevo fatta, non restava che lavarli, la lana si trascinava ormai da anni, metterli in forma e unirli insieme per formare un'allegra coperta o forse due piccole, se ci scappavano.
Ma all'improvviso le cose sono precipitate e ti abbiamo dovuta ricoverare. E poi, e in quel poi c'è dentro tutto, tutto quello che adesso non voglio raccontare, te ne sei andata. Solo cinquanta giorni dopo e più o meno alla stessa ora della tua sorella più grande, tu che eri la mezzana.
"Si sono rincorse" ha detto una parente al secondo funerale e l'immagine mi ha colpito: ho immaginato voi due correre libere e giocose.
Una notte in clinica, quando ancora le forze non ti avevano abbandonato del tutto, ho sentito che hai posato la tua mano sulla mia testa appoggiata sul bordo del letto. Sei sempre stata così premurosa, attenta e sapevi sempre consolarmi nei momenti difficili.
Vorrei che quella coperta che ancora non esiste ci avvolgesse insieme per darti e darmi conforto...ora che mi sento come un guscio vuoto, uno di quei gusci di ricci di mare portati a riva dalla corrente.